Sembra essere diventato un dato acquisito, semplice senso comune:
un teorema poggiato su tre certezze, che gli italiani chiedano più sicurezza, che la criminalità aumenti, che strade e case siano meno sicure. Corollario di questo teorema: meno immigrati, meno reati. Soltanto il primo di questi elementi è vero: la questione della criminalità è salita fortemente nelle preoccupazioni degli italiani. Ma non sono veri nè il secondo nè il terzo elemento del teorema, nè il corollario.
Forti dei dati statistici e delle ricerche sociologiche, che indicano come la questione sicurezza in Italia sia certo complessa, ma non banalizzabile secondo gli slogan dell’emergenza, alcuni di noi hanno cercato di mettere un argine alla dilagante
“paranoia securitaria”, e di denunciare una campagna mediatica, finalizzata a creare una lista di priorità favorevole alla
vittoria elettorale della destra.
Siamo stati zittiti con fastidio, anche da molte voci del centrosinistra: “basta con la sociologia”, ci è stato detto, come se lo studio dei fenomeni sociali non fosse base indispensabile per le scelte politiche serie; con “realismo”, ci è stato spiegato che non importano le cause, quella è roba complicata, ma conta l’insicurezza “percepita”, e i politici devono dare risposte alle ansie e alle percezioni. Tale argomento è un mix di cinismo e di demagogia: è l’idea di una politica che non dà spiegazioni, analisi, soluzioni, ma solo risposte mediatiche e apparenti, annunci rassicuranti, insomma, spara cavolate.
Chi fissa l’agenda, ha già mezza vittoria in pugno: e chi lascia che l’avversario la fissi, ha già perso. La
rincorsa ai temi della “sicurezza”, senza neppure discutere le modalità con cui la destra li ha posti in agenda, ha spesso caratterizzato l’azione recente del partito democratico. Il risultato è stata un’assoluta
subalternità alla destra stessa da parte del centrosinistra.
Ha vinto così una campagna stampa fatta di esaltazione di certi episodi di criminalità, e di silenzio su altri; sottolineatura di reati e persino di banali incidenti provocati da immigrati, silenzio e sottovalutazione di altre notizie, a cominciare dai reati di cui gli immigrati sono vittime. Lo zingaro e il clandestino come capri espiatori: prime pagine per immaginari rapimenti di bambini da parte degli zingari, mezze reticenti righe in cronaca per i pedofili italiani beccati a insidiare i bambini rom persi nello squallore delle baracche. Nessuna diffusione di dati seri, che indicassero la verità: che i crimini gravi sono in costante calo da anni, quelli di cosiddetta microcriminalità salgono e scendono, secondo logiche complesse. In disuso il buon senso: quello che ci dice che i crimini hanno cause, economiche e sociali, e non sono, sui grandi numeri, frutto di istintiva vocazione al crimine di gruppi o etnie, o dell’invidia dei tristi verso il benessere dei buoni.
In verità, le necessarie analisi sui dati ci dicono, per esempio, che negli anni scorsi all’incirca
l’80% della spesa destinata all’immigrazione è stata finalizzata alla repressione (contrasto delle entrate illegali, ma soprattutto espulsioni)
e solo nel 20% destinato all’integrazione. Le risorse per azioni di repressione sono quindi al massimo: con un continuo inseguimento di una lepre irraggiungibile. Nessuna azione repressiva potrà davvero arginare l’ampio fenomeno della clandestinità, nè garantire una sicurezza continua e quotidiana. Con tipico cinismo, se l’è lasciato sfuggire lo stesso Berlusconi, quando ha dichiarato che non si può mettere una guardia a ogni lampione per proteggere le donne a rischio di stupro. E infatti, quella campagna che ha suscitato la “paranoia securitaria” adesso viene messa nel cassetto, e Maroni ha annunciato, questo Ferragosto, la fine della terribile emergenza, e la diminuzione dei reati, a cominciare, ha detto fiero, dagli omicidi. Ma gli omicidi sono in trend discendente da decenni, e insomma come si sono spaventati gli italiani, ora si rimboccano loro le coperte.
Scompaiono così dal radar anche le ragioni vere, dell’insicurezza italiana: che è fatta della solitudine di anziani e donne sole, che si sentono più deboli in città dove è scomparsa la rete familiare e di vicinato; del reddito precario, che spinge alcuni agli espedienti e mette la maggioranza onesta in condizione tali che anche il furto di un motorino diventa un dramma familiare; di un cambiamento di paesaggio urbano sempre più concepito a misura di chi possiede l’auto, mentre la carenza di servizi pubblici rende i più poveri isolati. Della formazione di nuovi ghetti, magari non così pericolosi da attraversare, ma che segnano città divise, non omogenee e non solidali.
Mi accorgo di non aver parlato della nostra campagna, che chiede, molto semplicemente, che le risorse di ordine pubblico siano date alla polizia e ai carabinieri, ai vigili urbani, non a folcloristiche ronde. Ma in fondo è una proposta di tale evidenza, che c’è poco da dire: oggi, mentre si tagliano i fondi alle volanti, si fa clientelismo spicciolo con associazioni di militanti leghisti o di destra, squalificate e ridicole. Nella meschinità di questa destra, c’è anche questo: le ronde non sono neppure un piano di destabilizzazione dello Stato, ma solo un modo per dare qualche soldo a parenti e portatori di voti.
di Luca Cefisi