lunedì 7 settembre 2009

Capitalism: A love story. Intervista a Michael Moore


Capitalism: A Love Story di Michael Moore era uno dei film più attesi della 66ma Mostra di Venezia. Il regista di Fahrenheit 9/11 questa volta se la prende con il sistema finanziario americano e ammonisce i paesi europei: “Non seguite il nostro esempio”. Si scaglia contro il capitalismo “un male che non può essere regolamentato” si afferma nel documentario, “bisognerebbe ritornare a un sistema democratico che non conceda poteri ai più ricchi ma che distribuisca le risorse”. Nella sua storia d'amore Moore parte dall'impero romano per arrivare subito agli anni Ottanta con Ronald Reagan, colui che sancì il matrimonio tra politica e potere finanziario, da lì il film procede verso la recente crisi economica. Ovviamente non poteva mancare l'attore preferito dal regista: W. Bush. Tra una scherno e l'altro, perché Moore diverte oltre a far riflettere, si infiltrano i poveri del ceto medio che vengono cacciati di casa per non aver adempiuto al pagamento delle spese sanitarie, le assicurazioni che speculano sulla morte dei clienti, gli immobiliaristi che cercano di trarre il maggiore profitto dalle vendite delle case appena sfrattate. Insomma ci racconta come il paese sia diventato una corporation e Wall Strett un luogo sacro.Come difendersi? Attraverso il voto, ci dice nel film, ma la maggior parte degli americani desiderano diventare ricchi, e per colpa di chi? C'entra il sogno americano?
“È come il gatto che si morde la coda. Ci sono degli aspetti positivi nel sogno americano, noi crediamo fermamente nella giustizia e nella democrazia, ma è difficile definire democratico un paese che gestisce la vita dei cittadini seguendo i principi economici. È la gente che dovrebbe tenere in mano le redini. Mi colpiscono quelle persone che lavorano duramente e che si vedono rovinare l'esistenza per colpa di persone che dovrebbero avere a cuore gli interessi della società”.

Perché ha intitolato il suo documentario A Love Story?
“Perché si tratta di una storia d'amore tra i banchieri e i soldi, i loro, ma soprattutto i nostri”.
È stato complicato realizzarlo?
“Sì, questa volta non avevo un cattivo con cui prendermela, la General Motors o Charlton Heston, un tema come le armi o la cattiva gestione sanitaria, dovevo parlare di filosofia economica. È stata una sfida, ma se non punto in alto mi annoio. E poi questa volta avevo dalla mia la maggior parte degli americani”.
Ha dovuto cambiare qualcosa nel corso della preparazione?
“È arrivata la crisi finanziaria, ma non era altro che una conferma di quello che stavo raccontando”.
Nel film parla positivamente del nostro paese, di Francia e Germania, non le sembra di idealizzare troppo l'Europa?
“So che avete un primo ministro un po' pazzoide, però nella vostra costituzione si dice apertamente che le donne hanno gli stessi diritti degli uomini, nella nostra non c'è scritto. Voi avete una società più strutturata, ovviamente non esente da difetti, quando qualcuno non paga il medico o il mutuo nessuno viene punito. Adoro il mio paese, per questo continuo a fare film che lo ritraggono, siamo delle brave persone e quindi quando ci ammaliamo dovremmo avere la possibilità di consultare il medico non di essere sbattuti fuori di casa”.
Perché non viene in Italia a girare un film su Berlusconi?
“Ci dovrebbe pensare un regista italiano, lo so cosa significa vergognarsi del proprio paese ma è un problema vostro e dovete trovare voi una soluzione”.Chi ci suggerisce come autore?
“Sabina Guzzanti è fantastica, vorrei seguirla in tournée, amo anche Roberto Benigni”.A un certo punto del film accade il miracolo, Obama vince le elezioni e le cose cominciano a cambiare, però alcune banche sostengono la sua campagna elettorale.
C'è da fidarsi di Obama?
“Per ora sono soddisfatto e fiducioso, Obama è stato sostenuto dalle banche non per il suo programma elettorale ma perché è stato considerato un potenziale vincitore. Adesso arriva la svolta, il presidente dovrà decidere se essere amico o nemico dei magnati della finanza. Staremo a vedere”.
Si parla anche di religione a un altro punto.
“Sì credo che Gesù sia stato un rivoluzionario, Marx non ha inventato nulla, qualsiasi entità religiosa invita a prendersi cura dei più sfortunati, dovremmo seguire l'esempio”.
Non esiste un capitalismo buono secondo lei?
No, è come dire che esiste una schiavitù buona, è il sistema che va cambiato, dovrebbe essere più democratico ovvero non seguire le leggi dettate dai più ricchi, lo diceva anche Roosveelt settant'anni fa nella sua seconda carta costituzionale, nessuno però gli ha dato retta: assistenza sanitaria ed educazione per tutti, fine dei monopoli e molto molto molto altro”.

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