domenica 6 settembre 2009

"Ombre rosse", cos'è diventata la sinistra in Italia?


Un film come “Ombre rosse”, che si propone di raccontare cosa è diventata la sinistra, cioè anche tutti noi, sollecita i commenti. Del resto la corposa presenza di sinistra ( sia pure cinefila), venuta a vedere il film di Citto Maselli qui a Venezia, ha dimostrato che, al di là dell’interesse per l’opera cinematografica, c’è un grande bisogno di riflettere su sè stessi e sul disastro cui siamo arrivati, nessuno davvero innocente. E ben venga dunque l’occasione di questa pellicola impietosa ma mai astiosa – è un merito di Citto – sempre pronta a sottolineare, anche nei peggiori, il barlume di qualche ragione. Al centro della storia, insomma, non ci sono i buoni e i cattivi, ma l’ambiguità complessa della situazione. (Che strano: Citto Maselli, nella vita sempre un po’ settario, magari per passione politica, quando è regista si trasforma).Il suo film, infatti, non giudica: coglie le sfumature, è uno squarcio problematico sullo scorcio storico dell’ultima sconfitta subìta per mano di Berlusconi, che si abbatte su tutti – inaspettata perché tutti sono ciechi. In questo senso assai più stimolante di una denuncia.La sinistra presente in sala l’ha capito e, salvo il fischio di qualche arrabbiato privo di dubbi sulla propria verità, è uscita dalla proiezione addirittura commossa. E subito infatti ha lasciato perdere il giochetto, che pure attira, di identificare chi c’è di realmente esistente dietro i volti del virtuale architetto Varga (certamente Massimiliano Fuksas); del prof. Siniscalchi (probabilmente Umberto Eco, ma c’è chi suggerisce Asor Rosa), del capo di gabinetto del sindaco (di sicuro Walter Verini). Nel film ci siamo tutti, in un modo o nell’altro.C’è soprattutto il Centro sociale “Cambiare il mondo” - una delle tante, preziose, realtà cresciute in questi ultimi decenni – i cui personaggi sono infatti scolpiti con più verità; e amore. Solo vittime di un sistema che vuole cooptarli e normalizzarli, magari persino con buone intenzioni, così come ha fatto con altri settori della sinistra? Sì e no. Neanche loro sono innocenti: sono buoni, pronti al sacrificio personale per misericordia, ricchi di carità e compassione umana prima e al di là della politica. E infatti, anche per questo, sono isolati, il Centro sociale sembra uno struggente fortino nel deserto, il famoso rapporto col “territorio” tanto invocato da Rifondazione comunista ma anche dal Pd, ridotto a quello con chi il territorio non ce l’ha, i rom, gli immigrati, gli emarginati di ogni specie. Non c’è intorno un quartiere, un contesto sociale, niente. Ed è proprio questa solitudine l’aspetto più dolente del film.Gli intellettuali che li visitano sono invece tutti “dentro” la società reale, ricchi di legami, inseriti. Quale dei due mondi è più reale? Stiamo ancora confrontandoci col dilemma riforme o rivoluzione, che per più di un secolo ha travagliato la sinistra, peraltro ormai sconfitta in ambedue le opzioni?A me, che sono un po’ veterocomunista, colpisce, non solo nel film ma anche nella realtà, l’esistenza ormai di due soli poli: da un lato gli idealisti che rifiutano ogni compromesso, dall’altro gli opportunisti. Possibile che sia scomparsa dal reale - e dunque anche dall’introspezione che ne fa questo film (così come altre espressioni artistiche ma anche storico-sociologiche) - la memoria di quel che per decenni è stato il comunismo che pure, in Italia in particolare,era riuscito a coniugare alterità con realismo, strategia radicale con razionale (e leninista) costruzione di alleanze, indicazione di obiettivi intermedi, di un itinerario possibile, insomma?La memoria (anche critica, per carità) si è persa. Mai come oggi c’è stata una rottura generazionale così profonda, un rifiuto così netto da parte dei giovani dell’esperienza del passato, il ‘900 considerato solo un cumulo di macerie e di orrori.Si capisce: questo passato è stato o conservato in forme sclerotiche, o frettolosamente abiurato. Nel film un tentativo diverso viene fatto dal vecchio sindacalista, che però è troppo vecchio e alla fine si ingarbuglia. Nessuno, né in “Ombre rosse” né nella realtà, sembra più disposto alla fatica che è stata dei comunisti,lasciando così sul campo solo idealisti sconfitti o navigatori pseudorealisti, altrettanto sconfitti. Anche nei partiti, o pezzi di partiti esistenti la dialettica sembra ormai ridotta a uno scontro fra questi due poli. Il film di Citto è dedicato all’amico e compagno (anche di scuola, suo e anche mio) Sandro Curzi. E’ stato lui infatti che, poco prima di morire, dopo averne visto la prima copia ancora in lavorazione, ha consigliato di non finire con l’immagine della sconfitta elettorale che lascia attoniti i protagonisti, oramai solo “ombre rosse”. E di aggiungere una sequenza “positiva”. Qualche ragazzo che si accosta ad un nuovo edificio abbandonato e ricoperto da erbacce per metter mano alla costruzione di una nuova sede per il Centro Sociale, dopo che la vecchia si è dovuta abbandonare.Sandro era un inguaribile ottimista. Non è un brutto difetto.
da Il Manifesto

2 commenti:

  1. Effettivamente oggi si vive questa tensione tra la realpolitik di alcuni e l'idealismo senza compromessi di altri. Io credo che il problema sia la mancanza di un pensiero capace di coniugare teoria e prassi, questo era stato il marxismo ed è ciò che si è voluto malauguratamente rigettare, invece di recuperarlo criticamente.
    Un film interessante, sono curioso di vederlo.

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  2. Non saprei, la sinistra ha una sofferenza endemica nei confronti di visioni differenti, revisionismi, scissioni, settarismi e contrasti interni... In Italia il partito comunista è nato in opposizione, idealista direi, alla realpolitik del partito socialista; in russia prima del regime c'era una competizione forte tra bolscevichi e menscevichi, più moderati.
    Non credo che vedremo mai un partito di sinistra capace di coniugare teoria e prassi, ma occorre un'alleanza tra le forze di sinistra che riesca quanto meno a raggiungere degli obbiettivi minimi, primo tra tutti togliere questa povera Italia dalle grinfie di papi.

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