sabato 5 settembre 2009

Israele sfida gli USA, via libera a nuovi insediamenti


Prima una nuova infornata di permessi di costruzione, poi - forse - la moratoria. Sembra essere questa, su uno sfondo di nuovi lampi di tensione con Washington, la risposta del premier israeliano, Benyamin Netanyahu, alle pressioni americane per un congelamento degli insediamenti ebraici in territorio palestinese: funzionale, negli auspici di Barack Obama, alla ripresa del processo di pace. Una risposta che mira a rassicurare i molti paladini del movimento dei coloni in seno alla sua maggioranza di governo (a forte impronta di destra). Ma che appare «totalmente inaccettabile» all'Autorità nazionale palestinese (Anp). E irrita la Ue e gli Usa fino al punto da spingere stasera la Casa Bianca a diffondere una nota ufficiale in cui si esprime rammarico rispetto all'ipotesi di consentire nuove costruzioni e si definisce questo approccio in contrasto con l'impegno americano a «creare un clima che favorisca i negoziati». Ad annunciare le intenzioni di Netanyahu era stata in precedenza una gola profonda interna al suo staff, citata in mattinata in forma anonima da tutti i principali media del Paese. La fonte ha anticipato senza mezzi termini la volontà del premier di dare il via libera a una sanatoria preventiva che riguarderà «alcune centinaia» di unità abitative, sparse per le colonie della Cisgiordania (dove già vivono 300.000 persone), prima di qualsiasi moratoria. Il numero esatto non è stato indicato, ma è chiaro - ha detto la fonte - che saranno permessi aggiuntivi rispetto ai 2.500 progetti edilizi già in costruzione sulla base di autorizzazioni rilasciate in passato. E questo senza contare gli insediamenti ebraici di Gerusalemme est (oltre 200.000 abitanti), annessa di fatto nel 1967, ma non riconosciuta come parte del territorio israeliano dalla comunità internazionale. Il segnale, sottolineano commentatori israeliani di ogni tendenza, è diretto al fronte interno: a quei deputati e ministri delle forze di destra (primo fra tutti il Likud, il partito dello stesso Netanyahu, cardine del governo) che non cessano di paventare come «un tradimento» ogni eventuale cedimento agli Usa sugli insediamenti. E sotto questo profilo qualche risultato pare già esserci se è vero che il ministro dell'Informazione, Yuli Edelstein, esponente del Likud protagonista nei giorni scorsi con altri colleghi di governo di una clamorosa visita di solidarietà ai coloni ultrà, non ha esitato a lodare le ultime indicazioni giunte dall'entourage del premier. «Netanyahu - ha detto Edelstein - sta dimostrando che si può mettere un punto alla disponibilità negoziale e che Israele non impedirà la crescita naturale (delle colonie) in Cisgiordania e continuerà a costruire lì». Il presidente dell'Anp, Abu Mazen (Mahmud Abbas), ha denunciato da Parigi come «inaccettabili» le intenzioni del premier israeliano e il capo negoziatore, Saeb Eerekat, ha avvertito che un'ulteriore ondata di permessi di costruzione annuncerebbe soltanto «il congelamento del processo di pace». Mentre anche l'Ue, per bocca di Javier Solana, ha ribadito più tardi la necessità di fermare ora gli insediamenti: senza eccezioni e senza ulteriori indugi. Yaariv Oppenheimer, del movimento pacifista israeliano Peace Now, ha sostenuto da parte sua che "il compromesso" che Netanyahu si mostra disposto ad accogliere appare in realtà «puramente virtuale» - un gesto di facciata studiato per aggirare un tema spinoso e spingere Washington a concentrarsi sui temuti piani nucleari dell'Iran - e «non fermerebbe i cantieri nelle colonie neppure per un giorno». Stando a indiscrezioni circolate nei giorni scorsi, un'intesa sugli insediamenti fra l'emissario americano per il Medio Oriente, George Mitchell, e Netanyahu - dopo molti colloqui e non poche frizioni - potrebbe essere sottoscritta la settimana prossima sulla base di un impegno israeliano a una moratoria di almeno 9-12 mesi: in vista di quel riavvio del processo di pace che Obama spera di far coincidere con un vertice a tre con Netanyahu e Abu Mazen a margine dell'assemblea generale dell'Onu del 23 settembre.
da L'Unità

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