Non è sorprendente che i fascisti di Casa Pound cerchino di appropriarsi del «mito del Che». Il 9 ottobre “celebreranno” la morte di Guevara presentando un libro di Mario La Ferla, L’altro Che. Ernesto Guevara, mito e simbolo della destra militante, Stampa Alternativa, Roma, 2009 con la partecipazione di vari oratori anche “di sinistra”, ma non dell’autore (la casa editrice, pare, non voglia).
Presentarsi a volte come rivoluzionaria, è una vecchia tecnica della destra, dal fascismo “diciannovista” di Mussolini in poi. Per giunta in questo caso non fanno nessuna fatica a utilizzare il libro di Mario La Ferla, che parla del Che per poche pagine (con sviste e sfondoni vari), e per il resto è una rifrittura di luoghi comuni su Catilina, D’Annunzio, Pavolini, Bombacci, Perón, il «nazional-bolscevico» Limonov, ecc. Tra i suoi “autori” c’è perfino quell’Andrea Insabato, che mise una bomba al manifesto.
La Ferla è stato spinto a occuparsi di Guevara da un articolo di Gabriele Adinolfi, presentato nel libro in termini apologetici. Si capisce perché: l’autore ha semplicemente scaricato la presentazione del terrorista nero fondatore di Terza posizione dal suo sito. Il libro rivela poche e superficiali letture, segnalate alla rinfusa, tra cui spicca Alvarito Vargas Llosa. A Casa Pound non si sono sbagliati quindi a invitare La Ferla. Glielo lasceremmo proprio volentieri. Ma Guevara no.
La Ferla tenta di accreditare un Che di destra perché “influenzato da Perón”, di cui evidentemente non sa nulla, e che considera tout court fascista. Un contatto diretto tra i due vi fu, non durante il viaggio del 1959 nei paesi ex coloniali, come scrive, ma nel 1964, e aveva ben altro senso. Era stato preparato da molti peronisti di sinistra che si addestravano a Cuba (e che formeranno successivamente i montoneros). La direzione cubana aveva offerto allora senza successo a Perón, ancora appoggiato da gran parte della classe operaia argentina, di trasferirsi a Cuba per preparare un ritorno di lotta. L’ambiguità di Perón si doveva chiarire –con la tragica svolta a destra -solo dopo il suo ritorno in patria. Su questo esiste l’intero Quaderno n.3 della fondazione Guevara, con preziose testimonianze di argentini.
Era comunque inverosimile che Perón abbia presentato il Che a Boumedienne: il rapporto di Guevara con l’Algeria era strettissimo, ma con Ben Bella, con cui c’era una sintonia profonda. Il colpo di Stato di Boumedienne parve e fu una catastrofe per l’impresa congolese in preparazione.
Ma lasciamo da parte le polemiche con questo libro raffazzonato, e funzionale all’operazione di Casa Pound.
La vera incompatibilità tra i fascisti di qualunque genere e il Che nasce da alcune caratteristiche essenziali del pensiero e dell’azione di Guevara. Prima di tutto dal suo internazionalismo, al tempo stesso etico (sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato in qualsiasi parte del mondo) e materialista (stabilire intese con altri paesi produttori di zucchero, per evitare di farsi la concorrenza).
Altrettanto lontano dal fascismo, anzi anti-fascista, il suo “dobbiamo saper essere duri senza perdere la tenerezza”, che difendeva come inevitabili le misure di autodifesa di una rivoluzione uscita da una lotta feroce, ma vigilava contro i pericoli di involuzione autoritaria. Esemplare un discorso severissimo del ’62 ai membri della Seguridad contro la tendenza a inventarsi nemici.
Un’altra caratteristica del Che, che lo rendeva diversissimo non solo dai politici borghesi (democratici o fascisti) ma anche da quelli del “socialismo reale”, era l’assenza di ogni indulgenza per i propri errori, in cui ricercava la prima causa di ogni male.
Ma basterebbe l’internazionalismo del Che a ridicolizzare ogni pretesa di annetterlo al fascismo. Un internazionalismo che presto rifiuta ogni “campismo”, e cerca legami diretti con i movimenti di liberazione, non con gli Stati, e anzi ne vuole controbilanciarne l’influenza. Basterebbe aver letto il Messaggio alla Tricontinentale e il Discorso di Algeri, con le sue critiche severe ai “paesi socialisti”, per capirlo. Va detto con tristezza che gran parte della sinistra, anche quando rende omaggio al Che, ne ignora questa dimensione. E a chi cerca di annetterselo come “fascista di sinistra”, raccomandiamo la lettura di un testo emozionate, e attualissimo, del Che Guevara Lettera ai giovani comunisti.
È vero che c’era anche chi cantava “il Che Guevara ci piace si, perché invece di parlare spara”; se il Che fosse stato solo questo, ogni annessione sarebbe possibile. Ma Guevara non si limitava a sparare, parlava, anche se inascoltato (anche a Cuba), per la sua preziosa e lungimirante riflessione sulla crisi imminente di quello che si sarebbe arrogantemente proclamato il “socialismo reale”: una critica da un punto di vista marxista.
Difficile in questo spazio ricostruire la complessità del pensiero del Che - (una trattazione ben più ampia può essere scaricata dal sito: http://antoniomoscato.altervista.org/ , che contiene anche alcuni testi inediti, che dimostrano che Guevara non era un generico ribelle. Anche se non è stato un grande pensatore paragonabile a Lenin, Rosa Luxemburg o Trockij, è stato un grande riscopritore del marxismo critico, “senza calco né copia”. E non era un
compito facile, dopo decenni di mistificazioni socialdemocratiche e staliniste. E, concludendo, c’è da dire che più semplicemente è stato un comunista.
da Il Manifesto
Presentarsi a volte come rivoluzionaria, è una vecchia tecnica della destra, dal fascismo “diciannovista” di Mussolini in poi. Per giunta in questo caso non fanno nessuna fatica a utilizzare il libro di Mario La Ferla, che parla del Che per poche pagine (con sviste e sfondoni vari), e per il resto è una rifrittura di luoghi comuni su Catilina, D’Annunzio, Pavolini, Bombacci, Perón, il «nazional-bolscevico» Limonov, ecc. Tra i suoi “autori” c’è perfino quell’Andrea Insabato, che mise una bomba al manifesto.
La Ferla è stato spinto a occuparsi di Guevara da un articolo di Gabriele Adinolfi, presentato nel libro in termini apologetici. Si capisce perché: l’autore ha semplicemente scaricato la presentazione del terrorista nero fondatore di Terza posizione dal suo sito. Il libro rivela poche e superficiali letture, segnalate alla rinfusa, tra cui spicca Alvarito Vargas Llosa. A Casa Pound non si sono sbagliati quindi a invitare La Ferla. Glielo lasceremmo proprio volentieri. Ma Guevara no.
La Ferla tenta di accreditare un Che di destra perché “influenzato da Perón”, di cui evidentemente non sa nulla, e che considera tout court fascista. Un contatto diretto tra i due vi fu, non durante il viaggio del 1959 nei paesi ex coloniali, come scrive, ma nel 1964, e aveva ben altro senso. Era stato preparato da molti peronisti di sinistra che si addestravano a Cuba (e che formeranno successivamente i montoneros). La direzione cubana aveva offerto allora senza successo a Perón, ancora appoggiato da gran parte della classe operaia argentina, di trasferirsi a Cuba per preparare un ritorno di lotta. L’ambiguità di Perón si doveva chiarire –con la tragica svolta a destra -solo dopo il suo ritorno in patria. Su questo esiste l’intero Quaderno n.3 della fondazione Guevara, con preziose testimonianze di argentini.
Era comunque inverosimile che Perón abbia presentato il Che a Boumedienne: il rapporto di Guevara con l’Algeria era strettissimo, ma con Ben Bella, con cui c’era una sintonia profonda. Il colpo di Stato di Boumedienne parve e fu una catastrofe per l’impresa congolese in preparazione.
Ma lasciamo da parte le polemiche con questo libro raffazzonato, e funzionale all’operazione di Casa Pound.
La vera incompatibilità tra i fascisti di qualunque genere e il Che nasce da alcune caratteristiche essenziali del pensiero e dell’azione di Guevara. Prima di tutto dal suo internazionalismo, al tempo stesso etico (sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato in qualsiasi parte del mondo) e materialista (stabilire intese con altri paesi produttori di zucchero, per evitare di farsi la concorrenza).
Altrettanto lontano dal fascismo, anzi anti-fascista, il suo “dobbiamo saper essere duri senza perdere la tenerezza”, che difendeva come inevitabili le misure di autodifesa di una rivoluzione uscita da una lotta feroce, ma vigilava contro i pericoli di involuzione autoritaria. Esemplare un discorso severissimo del ’62 ai membri della Seguridad contro la tendenza a inventarsi nemici.
Un’altra caratteristica del Che, che lo rendeva diversissimo non solo dai politici borghesi (democratici o fascisti) ma anche da quelli del “socialismo reale”, era l’assenza di ogni indulgenza per i propri errori, in cui ricercava la prima causa di ogni male.
Ma basterebbe l’internazionalismo del Che a ridicolizzare ogni pretesa di annetterlo al fascismo. Un internazionalismo che presto rifiuta ogni “campismo”, e cerca legami diretti con i movimenti di liberazione, non con gli Stati, e anzi ne vuole controbilanciarne l’influenza. Basterebbe aver letto il Messaggio alla Tricontinentale e il Discorso di Algeri, con le sue critiche severe ai “paesi socialisti”, per capirlo. Va detto con tristezza che gran parte della sinistra, anche quando rende omaggio al Che, ne ignora questa dimensione. E a chi cerca di annetterselo come “fascista di sinistra”, raccomandiamo la lettura di un testo emozionate, e attualissimo, del Che Guevara Lettera ai giovani comunisti.
È vero che c’era anche chi cantava “il Che Guevara ci piace si, perché invece di parlare spara”; se il Che fosse stato solo questo, ogni annessione sarebbe possibile. Ma Guevara non si limitava a sparare, parlava, anche se inascoltato (anche a Cuba), per la sua preziosa e lungimirante riflessione sulla crisi imminente di quello che si sarebbe arrogantemente proclamato il “socialismo reale”: una critica da un punto di vista marxista.
Difficile in questo spazio ricostruire la complessità del pensiero del Che - (una trattazione ben più ampia può essere scaricata dal sito: http://antoniomoscato.altervista.org/ , che contiene anche alcuni testi inediti, che dimostrano che Guevara non era un generico ribelle. Anche se non è stato un grande pensatore paragonabile a Lenin, Rosa Luxemburg o Trockij, è stato un grande riscopritore del marxismo critico, “senza calco né copia”. E non era un
compito facile, dopo decenni di mistificazioni socialdemocratiche e staliniste. E, concludendo, c’è da dire che più semplicemente è stato un comunista.
da Il Manifesto
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