Dal 28 giugno passato, quando un commando militare ha prelevato in piena notte il presidente costituzionalmente eletto Manuel Zelaya dalla casa presidenziale per poi espellerlo in Costa Rica, il susseguirsi di violazioni dei diritti umani hanno prodotto una escalation di illegalità, violenza e repressione.
Gli Stati Uniti erano al corrente della volontà golpista, come ha dichiarato l’ambasciatore statunitense a Tegucigalpa, ma non hanno fatto nulla per impedirlo. L’idea del Presidente Zelaya di trasformare in aeroporto civile la famigerata base militare statunitense di Soto Cano, tristemente famosa negli anni ‘80 per l’appoggio ai “contras” anti-sandinisti, è stata senza dubbio uno dei fattori scatenanti del golpe.
Con questo colpo di Stato, realizzato dall’oligarchia locale, dal settore imprenditoriale, e dall’esercito dell’Honduras con l’appoggio della gerarchia della Chiesa Cattolica e dell’Opus Dei, si stanno rievocando i tempi bui degli anni ‘80, quando le FF.AA. si prestavano a reprimere ed eliminare qualunque iniziativa o movimento sociale a favore dei settori più poveri del Paese.
Come nel passato assistiamo tragicamente alla repressione violenta delle manifestazioni, con morti e feriti da colpi di arma da fuoco sparati dalle Forze Armate, esecuzioni extragiudiziali, sequestri e desaparecidos, minacce, arresti arbitrari, totale restrizione alla libertà di associazione, di espressione, di stampa, sospensione delle libertà individuali, instaurazione del coprifuoco.
Le testimonianze delle varie delegazioni internazionali che si sono recate nel Paese fin dai primi giorni successivi al colpo di Stato, tra cui una delegazione sindacale e quella della Rete Biregionale Europa, America Latina e Caraibi “Enlazando Alternativas”, raccontano di violazioni sistematiche e quotidiane di qualunque diritto.
Nonostante tutto, da più di un mese le forze democratiche e progressiste del paese manifestano in maniera massiccia e pacifica contro il colpo di Stato per chiedere il ritorno di Manuel Zelaya.
Le azioni diplomatiche messe in atto fino ad ora non sono sufficienti: la stessa designazione come “mediatore” del Presidente del Costa Rica, Oscar Arias, suggerita dalla Segretaria di Stato statunitense Hilary Clinton, è un processo che serve solo a dilatare nel tempo la ricerca di una soluzione. E’ un segnale negativo nei confronti di una palese violazione delle regole democratiche (così strenuamente “difese” in altri luoghi del mondo) come dimostrano le proposte inaccettabili avanzate fino ad oggi: elezioni anticipate senza la restituzione della carica al presidente costituzionale Manuel Zelaya e totale amnistia per i responsabili del colpo di Stato e dei successivi crimini.
Ciò che non si perdona a Manuel Zelaya è l’aver adottato iniziative sociali e progressiste, aver ripreso i rapporti diplomatici con Cuba, essersi unito ai governi progressisti che combattono le politiche neoliberiste associandosi all’Alternativa Bolivariana per i popoli delle Americhe e dei Carabi (ALBA), il progetto di cooperazione e integrazione continentale.
E imperdonabile la sua iniziativa di “chiedere al popolo”. Convocate elezioni legislative e municipali per il passato 28 giungo, Zelaya aveva proposto di mettere un’urna in più dove i cittadini avrebbero potuto pronunciarsi sulla convocazione di una Assemblea Costituente per il prossimo anno. Un’iniziativa appoggiata dalle firme di 400.000 cittadini honduregni, (tra cui le tre centrali sindacali, il Bloque Popular e molte organizzazioni sociali e politiche), ma osteggiata apertamente dai settori imprenditoriali, non solo locali, che temono un cambiamento nei loro privilegi e nella politica di sfruttamento delle risorse naturali del paese.
La decisione del presidente costituzionale Manuel Zelaya di elevare del 60% il salario minimo dei lavoratori è stato probabilmente l’ultimo elemento scatenante nella decisione di rimuoverlo con la forza. Non è un segreto che le imprese bananiere Chiquita e Dole si siano apertamente lamentate della proposta di Zelaya e quando il decreto sul salario minimo è stato approvato hanno chiesto e ottenuto l’appoggio dell’intero COHEP (Consejo Hondureño de la Empresa Privada), la stessa che oggi chiede che non vengano applicate sanzioni economiche al paese.
Sono invece queste ultime che, tra le altre, devono essere messe in atto: l’Unione Europea e i suoi Stati membri devono sospendere qualunque tipo di collaborazione politica, economica e commerciale con il governo di fatto di Roberto Micheletti.
Gli Stati Uniti erano al corrente della volontà golpista, come ha dichiarato l’ambasciatore statunitense a Tegucigalpa, ma non hanno fatto nulla per impedirlo. L’idea del Presidente Zelaya di trasformare in aeroporto civile la famigerata base militare statunitense di Soto Cano, tristemente famosa negli anni ‘80 per l’appoggio ai “contras” anti-sandinisti, è stata senza dubbio uno dei fattori scatenanti del golpe.
Con questo colpo di Stato, realizzato dall’oligarchia locale, dal settore imprenditoriale, e dall’esercito dell’Honduras con l’appoggio della gerarchia della Chiesa Cattolica e dell’Opus Dei, si stanno rievocando i tempi bui degli anni ‘80, quando le FF.AA. si prestavano a reprimere ed eliminare qualunque iniziativa o movimento sociale a favore dei settori più poveri del Paese.
Come nel passato assistiamo tragicamente alla repressione violenta delle manifestazioni, con morti e feriti da colpi di arma da fuoco sparati dalle Forze Armate, esecuzioni extragiudiziali, sequestri e desaparecidos, minacce, arresti arbitrari, totale restrizione alla libertà di associazione, di espressione, di stampa, sospensione delle libertà individuali, instaurazione del coprifuoco.
Le testimonianze delle varie delegazioni internazionali che si sono recate nel Paese fin dai primi giorni successivi al colpo di Stato, tra cui una delegazione sindacale e quella della Rete Biregionale Europa, America Latina e Caraibi “Enlazando Alternativas”, raccontano di violazioni sistematiche e quotidiane di qualunque diritto.
Nonostante tutto, da più di un mese le forze democratiche e progressiste del paese manifestano in maniera massiccia e pacifica contro il colpo di Stato per chiedere il ritorno di Manuel Zelaya.
Le azioni diplomatiche messe in atto fino ad ora non sono sufficienti: la stessa designazione come “mediatore” del Presidente del Costa Rica, Oscar Arias, suggerita dalla Segretaria di Stato statunitense Hilary Clinton, è un processo che serve solo a dilatare nel tempo la ricerca di una soluzione. E’ un segnale negativo nei confronti di una palese violazione delle regole democratiche (così strenuamente “difese” in altri luoghi del mondo) come dimostrano le proposte inaccettabili avanzate fino ad oggi: elezioni anticipate senza la restituzione della carica al presidente costituzionale Manuel Zelaya e totale amnistia per i responsabili del colpo di Stato e dei successivi crimini.
Ciò che non si perdona a Manuel Zelaya è l’aver adottato iniziative sociali e progressiste, aver ripreso i rapporti diplomatici con Cuba, essersi unito ai governi progressisti che combattono le politiche neoliberiste associandosi all’Alternativa Bolivariana per i popoli delle Americhe e dei Carabi (ALBA), il progetto di cooperazione e integrazione continentale.
E imperdonabile la sua iniziativa di “chiedere al popolo”. Convocate elezioni legislative e municipali per il passato 28 giungo, Zelaya aveva proposto di mettere un’urna in più dove i cittadini avrebbero potuto pronunciarsi sulla convocazione di una Assemblea Costituente per il prossimo anno. Un’iniziativa appoggiata dalle firme di 400.000 cittadini honduregni, (tra cui le tre centrali sindacali, il Bloque Popular e molte organizzazioni sociali e politiche), ma osteggiata apertamente dai settori imprenditoriali, non solo locali, che temono un cambiamento nei loro privilegi e nella politica di sfruttamento delle risorse naturali del paese.
La decisione del presidente costituzionale Manuel Zelaya di elevare del 60% il salario minimo dei lavoratori è stato probabilmente l’ultimo elemento scatenante nella decisione di rimuoverlo con la forza. Non è un segreto che le imprese bananiere Chiquita e Dole si siano apertamente lamentate della proposta di Zelaya e quando il decreto sul salario minimo è stato approvato hanno chiesto e ottenuto l’appoggio dell’intero COHEP (Consejo Hondureño de la Empresa Privada), la stessa che oggi chiede che non vengano applicate sanzioni economiche al paese.
Sono invece queste ultime che, tra le altre, devono essere messe in atto: l’Unione Europea e i suoi Stati membri devono sospendere qualunque tipo di collaborazione politica, economica e commerciale con il governo di fatto di Roberto Micheletti.
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