Dopo più di un anno dalla vittoria elettorale dell’attuale maggioranza è possibile tracciare il bilancio dell’operato dei ministri in carica. Proviamo a vedere a cosa hanno portato, o stanno portando, le riforme del ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta. La produzione normativa, considerando che è passato poco più di un anno dall’assunzione dell’incarico, è, ainoi, corposa e ha colpito con drastici giri di vite praticamente ogni settore del pubblico impiego. La cosiddetta “circolare Brunetta” volta a combattere l’assenteismo e i poliziotti panzoni, la riforma delle pensioni per le donne volta a combattere… le pensioni per le donne e le norme sulla trasparenza che stanno portando dei risultati non proprio cristallini.
CIRCOLARE BRUNETTA
È in una circolare diffusa il 26 giugno 2008 la nuova sfida di Renato Brunetta all’assenteismo. Tutte le amministrazioni pubbliche devono sottoporre i propri lavoratori a visita medica fiscale anche nel caso di assenza di un solo giorno per malattia. Le nuove norme sono subito operative e valgono anche per le assenze già avvenute dal 26 giugno scorso in poi (data in cui il decreto 112 è entrato in vigore) secondo quanto riportato nella circolare firmata oggi dal ministro della Funzione pubblica.
Nel giro di vite vanno ricordate anche le eventuali decurtazioni dello stipendio. Il documento stabilisce che il taglio della retribuzione «si applica ad ogni evento di malattia, a prescindere dalla durata e riguarda i primi dieci giorni di assenza». Sulle modalità di certificazione della malattia, si specifica che il terzo «evento di malattia» nell’anno solare e le assenze superiori a dieci giorni debbono essere giustificati «con la presentazione all’amministrazione di un certificato medico rilasciato dalle strutture sanitarie pubbliche o dai medici convenzionati». La circolare fornisce poi indicazioni alle amministrazioni sull’incidenza delle assenze dal servizio «ai fini della distribuzione dei fondi per la contrattazione collettiva», ribadendo i principi in materia di premialità e chiarendo che «comunque nessun automatismo è consentito nella distribuzione delle somme». Viene posto in particolare l’accento sulla necessità di valutare l’apporto individuale ai fini di attribuire premi di produttività, di risultato e gli incentivi.
In nome di un aumento di produttività vengono quindi cancellati con un colpo di spugna diritti conquistati dai sindacati in decenni di storia.
RIFORMA DELLE PENSIONI PER LE DONNE
La riforma delle pensioni, con un innalzamento graduale fino a 65 anni dell’ età pensionabile per le donne, sembra ormai in dirittura d’ arrivo.
Fannulloni anche da “vecchi”. L’ossessione del ministro Brunetta per gli scansafatiche questa volta prende di mira chi avrebbe diritto ad andare in pensione. Soprattutto le donne. Quelle che magari è una vita che fanno tre lavori – i figli, la casa, i genitori anziani – e che andando in pensione qualche anno prima diventano un sostituto eccellente di quel welfare che non c’è. Ma per Brunetta chi non timbra il cartellino tutti i giorni, chi non ha la vita scandita dal ruotare di un tornello, va punito senza scrupoli. Il ministro è sconcertato «dallo spaventosamente basso tasso di occupazione italiano». Ma anziché pensare ai giovani, a quelli che un lavoro lo vorrebbero e non riescono a trovarlo, secondo lui «conviene» di più recuperare alla vita lavorativa attiva la cosiddetta terza età. Ha già calcolato che si recupererebbe un 10% di lavoratori, «significa 2-3 milioni di posti di lavoro in più, il che vuole dire incrementare il gettito fiscale e il Pil del Paese». L'invecchiamento attivo, sostiene ancora Brunetta, «è un bene pubblico e come tale occorre farne rilevare la convenienza e sostenerlo con gli opportuni incentivi, anche fiscali, e disincentivare le uscite precoci dal lavoro». Insomma è bene «non sprecare questo enorme serbatoio che sono gli anziani, la terza età, perché al di là di tutto conviene economicamente».
Brunetta pensa soprattutto alle donne e prova a buttarla addirittura sull’eguaglianza: «Le donne – spiega – sono due volte discriminate. Sono discriminate nella carriera per l'interruzione legata alla fase riproduttiva. Sono discriminate nelle pensioni più basse legate all'aver smesso di lavorare prima».
NORME SULLA TRASPARENZA
Le nuove norme sulla trasparenza, imporrebbero a tutte le pubbliche amministrazioni di pubblicare su internet stipendi e curricula dei dirigenti insieme ai tassi di assenza del personale.
Dalle parti della politica, quasi tutti hanno scelto di seguire il motto del segretario democristiano, inondando i siti ministeriali di dichiarazioni sulla «casa di vetro» della pubblica amministrazione. Di dati, però, nemmeno l'ombra.
Eppure la norma non lascia spazio a interpretazioni soggettive. In vigore dal 4 luglio (è l'articolo 21 della legge 69/2009), obbliga tutte le pubbliche amministrazioni centrali e locali a mettere sul sito buste paga, curricula, e-mail e recapiti telefonici dei dirigenti, mentre per i dipendenti sono richiesti i tassi di assenza mensili, divisi per ufficio. La prima risposta degli uffici pubblici è stata il silenzio (come mostrato sul Sole 24 Ore del 13 luglio), e ha spinto il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta a scrivere una circolare-lampo per spingere i recalcitranti (se n'è dato conto sul Sole del 18 luglio): tutti i dati devono essere online entro luglio, ha chiarito il ministro, e per evitare applicazioni furbe ha precisato che gli stipendi indicati devono essere quelli totali, con la specifica delle voci che li compongono, i tassi di assenza vanno aggiornati ogni mese e il tutto deve essere bene in evidenza, nell'home page del sito istituzionale.
Macché. Il secondo affondo ha impressionato qualche amministratore locale (si veda l'articolo a fianco), ma nei palazzi della politica non ha smosso quasi nessuno.
Chi vuol vedere un'attuazione abbastanza fedele delle regole sulla trasparenza, oltre al sito di Palazzo Vidoni (e ci mancherebbe altro) ha una sola destinazione alternativa: il ministero dell'Economia. Gli uomini di Tremonti hanno preso sul serio i nuovi obblighi, il dossier trasparenza è presente in home page e all'interno offre le informazioni su stipendi, recapiti e assenze. Il puzzle, certo, non è completo, perché mancano ancora i dirigenti più alti e dei premi di risultato si fa un accenno fugace in nota (in realtà andrebbero indicati gli importi del 2008), ma rispetto a quello che (non) si vede negli altri ministeri il risultato è egregio.
Il ministero per la semplificazione normativa, per esempio, spiega che «trasparenza, accessibilità e qualità della regolazione» sono le stelle polari del lavoro di Roberto Calderoli, mentre il ministero della Giustizia va sul solenne e declama a caratteri grandi in home page: «Percorsi chiari e precisi: un tuo diritto». Sarà, ma dell'operazione trasparenza non c'è traccia.
In tanti, invece, riempiono i siti di tabelle e documenti, che però all'atto pratico travisano lo spirito della norma e mancano l'obiettivo della trasparenza. Il caso più classico, che torna dal Viminale alle Infrastrutture, dalle Politiche agricole ai Beni culturali, è quello delle "tabelle anonime". I prospetti tracciano l'identikit delle buste paga delle varie categorie dirigenziali, ma non ne indicano i legittimi proprietari (in qualche caso l'elenco è in altre tabelle, spesso invece manca del tutto). Applicare sì, ma non troppo, anche se tutta questa cautela mostra un'altra delle abitudini che Brunetta vorrebbe cancellare dagli uffici pubblici. Il ministero delle Infrastrutture, per esempio, informa che tutti i dirigenti di fascia D (sono 17) guadagnano 140.415 euro, di cui 8.317,93 sono il premio di risultato. In ogni fascia, tutti i dirigenti hanno un identico premio di risultato, e lo stesso accade alle Politiche agricole e in tanti altri ministeri. La valutazione individuale può attendere.
Le tabelle anonime non sono l'unica forma di reticenza. Il ministero della Gioventù parla solo dello staff del ministro, e indica la retribuzione accessoria di capo di gabinetto, vice e capo ufficio legislativo, spiegando che per la parte «fondamentale» queste persone conservano il trattamento economico di provenienza; quale sia, però, lo sanno solo i diretti interessati.
Non dimentichiamo poi la definizione scientifica e azzeccata, data dal ministro, del movimento studentesco nato in risposta alle leggi della riforma Gelmini, e degli studenti che ne fanno parte… “quelli li sono guerriglieri.”
CIRCOLARE BRUNETTA
È in una circolare diffusa il 26 giugno 2008 la nuova sfida di Renato Brunetta all’assenteismo. Tutte le amministrazioni pubbliche devono sottoporre i propri lavoratori a visita medica fiscale anche nel caso di assenza di un solo giorno per malattia. Le nuove norme sono subito operative e valgono anche per le assenze già avvenute dal 26 giugno scorso in poi (data in cui il decreto 112 è entrato in vigore) secondo quanto riportato nella circolare firmata oggi dal ministro della Funzione pubblica.
Nel giro di vite vanno ricordate anche le eventuali decurtazioni dello stipendio. Il documento stabilisce che il taglio della retribuzione «si applica ad ogni evento di malattia, a prescindere dalla durata e riguarda i primi dieci giorni di assenza». Sulle modalità di certificazione della malattia, si specifica che il terzo «evento di malattia» nell’anno solare e le assenze superiori a dieci giorni debbono essere giustificati «con la presentazione all’amministrazione di un certificato medico rilasciato dalle strutture sanitarie pubbliche o dai medici convenzionati». La circolare fornisce poi indicazioni alle amministrazioni sull’incidenza delle assenze dal servizio «ai fini della distribuzione dei fondi per la contrattazione collettiva», ribadendo i principi in materia di premialità e chiarendo che «comunque nessun automatismo è consentito nella distribuzione delle somme». Viene posto in particolare l’accento sulla necessità di valutare l’apporto individuale ai fini di attribuire premi di produttività, di risultato e gli incentivi.
In nome di un aumento di produttività vengono quindi cancellati con un colpo di spugna diritti conquistati dai sindacati in decenni di storia.
RIFORMA DELLE PENSIONI PER LE DONNE
La riforma delle pensioni, con un innalzamento graduale fino a 65 anni dell’ età pensionabile per le donne, sembra ormai in dirittura d’ arrivo.
Fannulloni anche da “vecchi”. L’ossessione del ministro Brunetta per gli scansafatiche questa volta prende di mira chi avrebbe diritto ad andare in pensione. Soprattutto le donne. Quelle che magari è una vita che fanno tre lavori – i figli, la casa, i genitori anziani – e che andando in pensione qualche anno prima diventano un sostituto eccellente di quel welfare che non c’è. Ma per Brunetta chi non timbra il cartellino tutti i giorni, chi non ha la vita scandita dal ruotare di un tornello, va punito senza scrupoli. Il ministro è sconcertato «dallo spaventosamente basso tasso di occupazione italiano». Ma anziché pensare ai giovani, a quelli che un lavoro lo vorrebbero e non riescono a trovarlo, secondo lui «conviene» di più recuperare alla vita lavorativa attiva la cosiddetta terza età. Ha già calcolato che si recupererebbe un 10% di lavoratori, «significa 2-3 milioni di posti di lavoro in più, il che vuole dire incrementare il gettito fiscale e il Pil del Paese». L'invecchiamento attivo, sostiene ancora Brunetta, «è un bene pubblico e come tale occorre farne rilevare la convenienza e sostenerlo con gli opportuni incentivi, anche fiscali, e disincentivare le uscite precoci dal lavoro». Insomma è bene «non sprecare questo enorme serbatoio che sono gli anziani, la terza età, perché al di là di tutto conviene economicamente».
Brunetta pensa soprattutto alle donne e prova a buttarla addirittura sull’eguaglianza: «Le donne – spiega – sono due volte discriminate. Sono discriminate nella carriera per l'interruzione legata alla fase riproduttiva. Sono discriminate nelle pensioni più basse legate all'aver smesso di lavorare prima».
NORME SULLA TRASPARENZA
Le nuove norme sulla trasparenza, imporrebbero a tutte le pubbliche amministrazioni di pubblicare su internet stipendi e curricula dei dirigenti insieme ai tassi di assenza del personale.
Dalle parti della politica, quasi tutti hanno scelto di seguire il motto del segretario democristiano, inondando i siti ministeriali di dichiarazioni sulla «casa di vetro» della pubblica amministrazione. Di dati, però, nemmeno l'ombra.
Eppure la norma non lascia spazio a interpretazioni soggettive. In vigore dal 4 luglio (è l'articolo 21 della legge 69/2009), obbliga tutte le pubbliche amministrazioni centrali e locali a mettere sul sito buste paga, curricula, e-mail e recapiti telefonici dei dirigenti, mentre per i dipendenti sono richiesti i tassi di assenza mensili, divisi per ufficio. La prima risposta degli uffici pubblici è stata il silenzio (come mostrato sul Sole 24 Ore del 13 luglio), e ha spinto il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta a scrivere una circolare-lampo per spingere i recalcitranti (se n'è dato conto sul Sole del 18 luglio): tutti i dati devono essere online entro luglio, ha chiarito il ministro, e per evitare applicazioni furbe ha precisato che gli stipendi indicati devono essere quelli totali, con la specifica delle voci che li compongono, i tassi di assenza vanno aggiornati ogni mese e il tutto deve essere bene in evidenza, nell'home page del sito istituzionale.
Macché. Il secondo affondo ha impressionato qualche amministratore locale (si veda l'articolo a fianco), ma nei palazzi della politica non ha smosso quasi nessuno.
Chi vuol vedere un'attuazione abbastanza fedele delle regole sulla trasparenza, oltre al sito di Palazzo Vidoni (e ci mancherebbe altro) ha una sola destinazione alternativa: il ministero dell'Economia. Gli uomini di Tremonti hanno preso sul serio i nuovi obblighi, il dossier trasparenza è presente in home page e all'interno offre le informazioni su stipendi, recapiti e assenze. Il puzzle, certo, non è completo, perché mancano ancora i dirigenti più alti e dei premi di risultato si fa un accenno fugace in nota (in realtà andrebbero indicati gli importi del 2008), ma rispetto a quello che (non) si vede negli altri ministeri il risultato è egregio.
Il ministero per la semplificazione normativa, per esempio, spiega che «trasparenza, accessibilità e qualità della regolazione» sono le stelle polari del lavoro di Roberto Calderoli, mentre il ministero della Giustizia va sul solenne e declama a caratteri grandi in home page: «Percorsi chiari e precisi: un tuo diritto». Sarà, ma dell'operazione trasparenza non c'è traccia.
In tanti, invece, riempiono i siti di tabelle e documenti, che però all'atto pratico travisano lo spirito della norma e mancano l'obiettivo della trasparenza. Il caso più classico, che torna dal Viminale alle Infrastrutture, dalle Politiche agricole ai Beni culturali, è quello delle "tabelle anonime". I prospetti tracciano l'identikit delle buste paga delle varie categorie dirigenziali, ma non ne indicano i legittimi proprietari (in qualche caso l'elenco è in altre tabelle, spesso invece manca del tutto). Applicare sì, ma non troppo, anche se tutta questa cautela mostra un'altra delle abitudini che Brunetta vorrebbe cancellare dagli uffici pubblici. Il ministero delle Infrastrutture, per esempio, informa che tutti i dirigenti di fascia D (sono 17) guadagnano 140.415 euro, di cui 8.317,93 sono il premio di risultato. In ogni fascia, tutti i dirigenti hanno un identico premio di risultato, e lo stesso accade alle Politiche agricole e in tanti altri ministeri. La valutazione individuale può attendere.
Le tabelle anonime non sono l'unica forma di reticenza. Il ministero della Gioventù parla solo dello staff del ministro, e indica la retribuzione accessoria di capo di gabinetto, vice e capo ufficio legislativo, spiegando che per la parte «fondamentale» queste persone conservano il trattamento economico di provenienza; quale sia, però, lo sanno solo i diretti interessati.
Non dimentichiamo poi la definizione scientifica e azzeccata, data dal ministro, del movimento studentesco nato in risposta alle leggi della riforma Gelmini, e degli studenti che ne fanno parte… “quelli li sono guerriglieri.”
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